Democrazia energetica
La guerra Russo-Ucraina ci ha dimostrato come l’indisponibilità delle risorse naturali e il progressivo esaurimento delle energie fossili sia il primo fattore di tensione tra le nazioni nel XXI secolo. Un fattore che acuisce i conflitti esistenti e che porta alla nascita di nuovi, inclinando pericolosamente il piano geopolitico verso una terza guerra mondiale. Guerra nucleare che per ovvi motivi non possiamo permetterci.
Se l’interdipendenza, lo scambio e la necessità reciproca sono un presupposto imprescindibile per la pace allo stesso tempo l’autonomia e l’indipendenza energetica lo sono per la libertà e l’autodeterminazione dei popoli.
L’Unione Europea è dipendente da gas, petrolio, carbone provenienti da paesi in cui non esistono diritti umani, contrasto ai cambiamenti climatici, tutela ambientale e diritti del lavoro. Un’eventuale interruzione delle forniture metterebbe in ginocchio l’intero continente, eventualità che ci pone in un rapporto di subalternità e che costituisce il primo ostacolo alla concreta integrazione politica.
Le energie rinnovabili sono l’unica strada possibile e immediatamente attuabile per far uscire l’Europa dal ricatto energetico. Con effetti non solo sul piano ambientale, sociale e politico ma soprattutto in grado di consegnare all’Europa un nuovo ruolo, tra USA e Cina, come guida globale verso un mondo più equo e sostenibile.
Se in via teorica sarebbe sufficiente la produzione di energia solare da fotovoltaico per garantire l’autosufficienza dell’intero continente per quanto concerne l’energia elettrica, occupando una piccolissima porzione dell’Europa meridionale, la vera sfida è riuscire a gestire la discontinuità delle fonti attraverso un eterogeneo mix energetico e l’accumulo del surplus giornaliero e stagionale dell’energia. Se sul primo fronte lo spazio di crescita è ancora estremamente ampio è proprio sullo stoccaggio che si sta concentrando la ricerca. Se l’idrogeno è un vettore energetico in grado di dare risposte importanti a specifici bisogni è evidente per limiti strutturali e proprietà chimico-fisiche che non può essere l’unica, così a sistemi antichi come i bacini di accumulo idrico si aggiungono ricerche innovative come quelle svolte dall’Università di Perugia sui metalli reattivi.
È la natura stessa delle rinnovabili a incentivare un nuovo paradigma di produzione distribuita in maniera diffusa sul territorio, con reti intelligenti in grado di gestire l’energia sviluppando una risposta laddove c’è realmente bisogno. Le comunità energetiche sono l’emblema di questo nuovo paradigma che pone al centro la dimensione territoriale adattandosi alle sue peculiarità ed esigenze.
Una rivoluzione che nasce in Europa dell’iniziativa dell’europarlamentare Dario Tamburrano e che è stata poi calata nella normativa nazionale grazie al Sen. Pietro Girotto del M5S.
Per questo la politica regionale deve eliminare ogni ostacolo inutile che impedisce l’installazione di impianti di energia rinnovabile, intervenire nel potenziamento e nell’ammodernamento delle infrastutture pubbliche come le reti elettriche e liberalizzandone l’accesso e incentivare l’aggregazione in una logica di comunità in cui dalle industrie energivore, agli ospedali fino ad arrivare alla casa unifamiliare si riesca a garantire continuità dell’approvvigionamento energetico.
Se chi controlla le risorse e i mezzi per produrre energia ha in mano il potere di determinare le scelte globali allora le comunità energetiche sono sinonimo di democrazia energetica.
Produrre energia e condividerla riducendo al minimo le inefficienze del sistema e distribuendo il potere in mano a cittadini e imprese, liberando l’economia e le potenzialità di sviluppo di un territorio.