Coesione territoriale
In Umbria esistono cittadini di serie A e cittadini di serie Z, una regione dove sussistono disparità strutturali tra nord e sud, tra aree urbane ed aree interne. Un divario che impedisce l’accessibilità ai servizi essenziali e alle opportunità di crescita e sussistenza.
Ciò che sembrerebbe un fenomeno proprio del mezzogiorno d’Italia è invece concreto e misurabile in una regione del centro, il cuore della Penisola.
In Umbria non solo esistono servizi materialmente garantiti esclusivamente nella USL1 e non nella USL2 ma a tali servizi viene precluso l’accesso ai cittadini di quest’ultima. Esempio emblematico il supporto al servizio adozioni delle zone sociali della provincia di Terni che per oltre un anno è rimasto bloccato, fino al nostro intervento, impedendo alle famiglie di ricevere il parere obbligatorio richiesto dal Tribunale dei Minori. Ma potremmo parlare a lungo dai servizi verso le persone con disabilità alle unità di strada per il contrasto alle dipendenze e le politiche di riduzione del danno. Oppure della presenza di cliniche private convenzionate dalla sanità pubblica esclusivamente nella provincia di Perugia, cliniche che hanno rappresentato in particolar modo nel periodo pandemico l’unico spazio di continuità assistenziale per le operazioni programmate.
Nell’Umbria meridionale sussistono le strutture sanitarie più vecchie della regione: gli ospedali di Narni, Amelia, Orvieto e quello di Terni, tutti con oltre 50 anni di età. L’ospedale di Norcia è ancora in attesa di essere ricostruito e quello di Spoleto non è più rientrato in operatività dalla chiusura durante la pandemia da Covid-19.
L’isolamento infrastrutturale aggravato dalla chiusura della FCU condiziona gravemente i collegamenti che incidono sull’integrazione territoriale con paradossi incredibili. Da Narni ci vogliono tre ore per raggiungere l’Aeroporto dell’Umbria con mezzi pubblici mentre è possibile raggiungere Fiumicino con un’ora in meno.
Anche nel caso della distribuzione territoriale dell’erogazione dei fondi strutturali ci troviamo di fronte a un evidente squilibrio tra le aziende della provincia di Perugia e quella di Terni, con un evidente facilità da parte delle prime nel reperire e sostenere progettualità e una grave difficoltà delle seconde. Mentre al contempo nel caso dei canoni delle grandi derivazioni idroelettriche le risorse che ammontano a circa 8 milioni di euro annui vengono redistribuite sull’intero territorio regionale e solo per un massimo del 35% (come da legge) ritornano nei comuni interessati tutti siti nell’Umbria meridionale come Terni, Narni o Baschi.
Ancor più grave è la presenza di consorzi per la bonificazione esclusivamente nell’area della Valle Umbra, del bacino idrografico del Nera e in quello del Paglia. Consorzi che impongono una tassazione esclusiva che invece in gran parte della provincia di Perugia è sostenuta dalla discalità generale.
La regione continua a rappresentare per la maggioranza degli umbri un’entità distante e astratta dove si prendono decisioni contrarie ai loro interessi.
Per questo serve una nuova politica di coesione territoriale che sia volta a colmare il divario tra il capoluogo e il resto della regione dove vive il 70% della popolazione regionale. Un Umbria policentrica dove la rappresentanza territoriale sia un valore aggiunto e una ricchezza, anche attraverso la valorizzazione delle diverse vocazioni territoriali.
Un piano di sviluppo e di ammodernamento per il sud e per le aree interne è un presupposto fondamentale anche attraverso una leggi strutturali che intervengano su questo fronte.
Non esiste alcuna via di sviluppo per l’Umbria finché esisteranno queste disuguaglianze territoriali, finché ogni cittadino umbro non avrà le stesse possibilità e gli stessi diritti di chi vive nel capoluogo.