Adattamento climatico
Il cambiamento climatico in atto è ormai inevitabile.
Non possiamo far altro che accettare questa situazione, prendere atto delle conseguenze e cambiare ciò che possiamo cambiare. La buona notizia, però, è che molto possiamo fare e tutto dipende da noi.
Prima di tutto possiamo scegliere se continuare con l’attuale livello emissivo, decretando la sesta estinzione di massa, o perseguire la neutralità climatica adattandoci ai cambiamenti in atto. Di certo non possiamo più perdere altro tempo per cercare di convincere irriducibili negazionisti. Dobbiamo ribellarci all’estinzione e seguire la strada tracciata a livello globale dall’Unione Europea negli obiettivi a breve (2035) e medio (2050) termine per il raggiungimento della neutralità climatica dell’intero continente attraverso il pacchetto “Fit for 55”. Le emissioni di gas climalteranti non hanno confini e la decarbonizzazione non può che inserirsi all’interno di un quadro globale.
L’adattamento, invece, non può che essere giocato a livello locale.
Il quinto rapporto IPCC definisce come molto probabile nello scenario di emissioni attuali l’aumento di 2°C delle temperature minime nel 2041-2060. Per il 2080 la previsione è di un aumento dai 3,3°C ai 5,7°C. L’ultima volta che la temperatura superficiale globale ha raggiunto tali temperature è stato più di 3 milioni di anni fa, una variazione insostenibile in un così ristretto arco temporale.
La letteratua scientifica ci dice che ad ogni aumento di 1°C della temperatura media gli ecosistemi terrestri migrano di 150 chilometri in latitudine verso nord e di 150 metri in altitudine. Regioni come l’Umbria tra mezzo secolo rischiano di somigliare molto di più alle aree interne del Pakistan che all’Appennino.
Governare questo fenomeno vuol dire consegnare alla scienza risorse e strumenti per sviluppare previsioni attendibili in una logica multidisciplinare e utilizzare questi scenari climatici in ogni azione amministrativa e legislativa dei decisori politici.
Dobbiamo riconsiderare la programmazione urbanistica e quella infrastrutturale, l’organizzazione della Protezione Civile alla luce di eventi meteorologici più intensi e distruttivi. Tutelare le riserve idriche come bene primario strategico per il consumo umano, ma anche per quello irriguo ed industriale di fronte a lunghi periodi di siccità. Pianificare la dotazione sanitaria per affrontare le ondate di calore estive al fine di prevenire la saturazione degli ospedali e potenziare la sorveglianza epidemiologica. Abbiamo necessità di verificare gli investimenti nel settore agricolo verso varietà tardive per tutelarci da gelate tardo-primaverili dopo periodi di anticipo delle fasi fenologiche e considerare colture e allevamento nella nuova realtà climatica. Turismo, tutela dei beni culturali, grandi eventi, formazione, energia, caccia, pesca, sviluppo economico, immigrazione, difesa e sicurezza ed ogni spazio di azione politico deve essere rivisto alla luce dei cambiamenti climatici.
Qui nasce la differenza radicale tra visioni politiche contrapposte. La giustizia climatica non significa che costi e conseguenze dell’adattamento debbano pagarli i più deboli, ma al contrario che debba essere la buona politica, guidata da principi di equità e giustizia sociale, ad indicare la rotta. Noi vogliamo un futuro per l’umanità e crediamo che il prezzo da pagare debba essere equamente distribuito secondo le responsabilità, non che gli innocenti debbano farsene carico per tutti.